socialb facebook   instagram 

Notizie

Covid 19 e danni al cervello: pubblicato uno studio condotto da un team di medici della medicina nucleare e della neurologia del Santo Stefano

La funzione neuronale migliora progressivamente dalla fase acuta fino a quella cronica a 7-9 mesi dall’ infezione

Immagini cervello

Scritto da Vania Vannucchi                                     

Prato – Pubblicato dall’ "European Journal of Nuclear Medicine and Molecular Imaging”, importante e prestigiosa rivista scientifica, uno studio condotto su pazienti con sintomi neurologici da Covid-19 durante il peridio pandemico da un team di medici delle strutture di Medicina Nucleare e di Neurologia dell’Ospedale Santo Stefano.

ll Covid-19 può determinare importanti alterazioni della funzione neuronale cerebrale, in particolare nelle regioni frontali durante la fase acuta della malattia e tali alterazioni si riducono nel tempo fino quasi a scomparire a partire dal terzo mese dall’ infezione. Oltre all’interessamento di altri apparati come quello respiratorio, sono sempre più numerose le evidenze che il Covid-19 possa penetrare nel sistema nervoso centrale determinando riduzioni della funzione neuronale alla base della sintomatologia neurologica osservata in questi pazienti.

A rilevarlo è stato per la prima volta lo studio del team del Santo Stefano che ha evidenziato come tali sintomi possano essere severi durante la fase acuta di malattia e persistere in forma più lieve (affaticamento, “nebbia nel cervello”, disturbi di memoria e del sonno, ansia, depressione) anche dopo mesi dalla fase acuta (nei pazienti long-covid).

L’obiettivo della ricerca“ - spiega il dottor Stelvio Sestini, direttore della struttura complessa di Medicina Nucleare del Santo Stefano - è stato quello di capire quali sono le zone del cervello che il virus colpisce in modo preferenziale nei pazienti con infezione da SarS-CoV2 con sintomi neurologici di nuova insorgenza e come evolve nel tempo il danno neuronale dalla fase acuta alla fase cronica (circa 9 mesi), cosa mai dimostrato fino ad oggi”.

I ricercatori hanno utilizzato una tecnica di imaging bio-molecolare chiamata Tomografia ad Emissione di Positroni (PET) in grado di fornire una fotografia tridimensionale della funzione dei neuroni cerebrali proprio per distinguere le zone del cervello che funzionano bene da quelle che non funzionano. La Medicina nucleare del Santo Stefano si conferma come un importante realtà nel settore della ricerca del neuro-imaging bio-molecolare a livello europeo. Durante la fase più acuta della pandemia è stato organizzato un percorso ad hoc per per pazienti Covid-19 che avevano necessità di eseguire una indagine di Medicina Nucleare.

È stato proprio lo studio PET della funzione cerebrale dei pazienti con sintomi neurologi dalla fase acuta a quella cronica l’elemento cardine e peculiare dello studio – aggiunge Sestini –ed ha consenito di fornire importanti risposte sulla fisio-patologia del Covid-19 nel sistema nervoso centrale”. Proprio in questo senso – ha detto il dottor Pasquale Palumbo, direttore della struttura complessa di Neurologia - è stato fondamentale riuscire a misurare le alterazioni neuro-cognitive di questi pazienti mediante appositi test, cosa non semplice anche dal punto di vista organizzativo se si pensa al periodo acuto della fase pandemica”.

I risultati dello studio hanno dimostrato come la fase acuta dei pazienti con neuro-Covid-19 è caratterizzata da una importante e diffusa riduzione della funzione neuronale associata a gravi sintomi neurologici e che tale fase è seguita da un progressivo recupero della funzionalità cerebrale associato a miglioramento dei sintomi (in particolare della memoria e delle funzioni esecutive) a partire dal terzo mese dall’inizio della infezione.

Nello specifico, hanno spiegato i primi autori dello studio, le dottoresse Anna Lisa Martini, dirigente medico di Medicina Nucleare e primo autore dello studio e Giulia Carli della divisone di Neuroscienze-IRCCS San Raffaele Milano-University Medical Center di Groningen, Olanda ; il bersaglio del virus è rappresentato dalle regioni frontali, presumibilmente da trasmissione della infezione attraverso le vie olfattive, mentre la riduzione funzionale osservata nelle restanti regioni cerebrali, potrebbe dipendere da altre vie di propagazione del virus come quella ematica, oltre che dalla azione sinergica dell’ infiammazione e dalla riduzione dell’apporto di ossigeno al cervello. E’ stato rilevato che la riduzione della funzione neuronale è più severa in quei pazienti che hanno avuto necessità di ventilazione meccanica e che hanno presentato indici più elevati di flogosi e di massa corporea.

Il team dei ricercatori dell’ospedale di Prato rivolge un particolare ringraziamento alla professoressa Daniela Perani della divisione di Neuroscienze dell’ IRCCS San Raffaele Milano, alla professoressa Silvia Morbelli dell’ Unità di Medicina Nucleare IRCCS Ospedale Policlinico San Martino Genoa, e alla professoressa Maria Lucia Calcagni dell’ Unità di Medicina Nucleare - Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS Roma, per la preziosa collaborazione nella analisi dei risultati; oltre al dottor Piero Luigi Perruccio e alla Task Force Sperimentazione Clinica della Azienda Usl Toscana Centro per il loro importante contributo nella realizzazione di questa importante ricerca.

"Ringrazio la struttura di medicina nucleare, conclude il dottor Maurizio Bartolucci, direttore del Dipartimento di Diagnostica per Immagini dell’Azienda, per la scelta e il grande impegno profuso per strutturare, in parallelo con la consueta attività assistenziale, un percorso accreditato che ha permesso di studiare in sicurezza, con neuro-imaging avanzato, i pazienti con COVID 19 in fase acuta. Sottolineo inoltre l’importanza del rilevante lavoro del gruppo multidisciplinare che ha consentito di attuare il brillante studio scientifico, illuminando in parte i processi neuro-fisio-patologici alla base dei deficit neurologici che possono verificarsi in questa malattia complessa, quale si è dimostrata il COVID 19"