Tecnica messa a punto grazie alla sinergia della Neurochirurgia di Careggi e della Medicina Nucleare del Santo Stefano di Prato
Scritto da Vania Vannucchi
Si chiama chirurgia biomolecolare la metodica innovativa per il trattamento del glioma cerebrale, un tumore che coinvolge il sistema nervoso centrale riscontrato tra i più frequenti. Rappresenta infatti circa il 40% di tutti i tumori cerebrali primitivi. La nuova tecnica è frutto del lavoro sinergico e della stretta collaborazione tra le strutture di Neurochirurgia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Careggi, diretta dal professor Alessandro Della Puppa e quella di Medicina Nucleare dell’Ospedale Santo Stefano di Prato diretta dal dottor Stelvio Sestini.
La metodica, tra le prime in Europa, permette di intercettare con estrema precisione la massa tumorale, grazie all’impiego congiunto di tecniche che tracciano i tessuti malati con la fluorescenza ed evidenziano le porzioni di maggiore malignità attraverso le immagini fornite dalla Risonanza Magnetica e dalla FET-PET, tomografia ad emissione di positroni con l’utilizzo di un radio farmaco.
“È un nuovo modo di fare chirurgia- spiega Della Puppa - la resezione del tumore viene eseguita su immagini di risonanza magnetica che forniscono informazioni sulla morfologia del tumore coregistrate contemporaneamente sia con immagini del metabolismo proteico ottenute con la tomografia ad emissione di positroni sia con immagini di fluorescenza entrambe in grado di fornire informazioni sui reali confini funzionali e bio-molecolari della neoplasia”.
I tumori gliali hanno un’incidenza di circa 3,3/100.000 abitanti ed una prevalenza stimata di circa 1/100.000. Il rapporto dell’incidenza sulla popolazione della Regione Toscana si traduce in 115 nuovi casi ogni anno (di cui oltre la metà afferenti alla Azienda USL Toscana Centro), che necessitano di essere trattati con competenze multidisciplinari che comprendo l’asportazione chirurgica ed i trattamenti di radio e chemioterapia. Numerosi studi hanno confermato una prognosi migliore quanto maggiore è la radicalità dell’asportazione chirurgica.
“L’obiettivo principale della chirurgia, infatti – aggiunge Della Puppa può essere sintetizzato nel concetto di resezione massimale in sicurezza, l’asportazione più ampia e mirata possibile risparmia aree cerebrali funzionalmente efficace non arreca danni neurologici permanenti al paziente “
Entrando nei dettagli, la definizione dell’estensione del tumore gliale è stata per lungo tempo appannaggio esclusivo delle tecniche di neuroimaging morfologico come la risonanza magnetica dell’encefalo con mezzo di contrasto. Questa tecnica presenta però delle limitazioni, in particolare l’incapacità di definire i limiti funzionali della lesione, generalmente più estesi dei limiti morfologici identificati nelle sole immagini di risonanza e quella di identificare all’interno della lesione le zone a maggior malignità.
Proprio per questi motivi sono state testate le potenzialità di altre metodiche di imaging, fra cui la tomografia ad emissione di positroni con l’utilizzo del radiofarmaco O-(2-[F] fluoroetil) -L-tirosina (FET-PET).
“È una tecnica di imaging biomolecolare eseguita al Santo Stefano di Prato- spiega Sestini – in grado di rilevare il livello e la sede di maggior aggressività della lesione gliale misurando in vivo il metabolismo proteico del tumore, ovvero maggiore è il metabolismo proteico, più aggressivo è il tumore. Consente quindi di rilevare i limiti funzionali della neoplasia nel cervello e di avere informazioni sulle aree del tumore caratterizzate da maggior aggressività e quindi da asportare in ambito chirurgico. Le immagini di risonanza magnetica e PET-FET possono essere inserite in un sistema di neuro-navigazione per l’utilizzo intraoperatorio. Una sorta di GPS in miniatura che permette di localizzare con precisione la lesione intracranica. Questo risulta molto utile quando non si riesce ad orientarsi all’interno del tessuto cerebrale o quando si è in presenza di tessuto apparentemente normale, che però alla FET-PET risulta invece patologico”.
In sala operatoria, quindi, le immagini di risonanza magnetica vengono co-registrate con quelle della PET-FET alle quali si aggiungono quelle di fluorescenza.
“Per tracciare il tumore del cervello durante l’intervento chirurgico – spiega ancora Della Puppa - viene utilizzata la fluorescenza che si basa sull’acido-5-aminolevulinico (5-ALA) che interagisce selettivamente col metabolismo delle cellule tumorali. Il 5-ALA è un metabolita naturale che viene somministrato al paziente per via orale e, una volta penetrato nelle cellule tumorali, ha la capacità di emettere un’intensa fluorescenza rosso-viola che reagisce alla luce blu. Il valore aggiunto dell’utilizzo del 5-ALA è proprio la sua capacità di evidenziare cellule tumorali infiltranti tessuto cerebrale sano che altrimenti apparirebbe macroscopicamente indenne e permette quindi di intervenire con alta precisione sul tessuto malato.”
La combinazione integrata di queste metodiche (FET-PET in neuro-navigazione e 5-ALA) consente di ottenere una asportazione tumorale più estesa ed accurata possibile in sicurezza, sfruttando le diverse informazioni che sono ottenute riguardo all’estensione del tumore e alla presenza di cellule tumorali in tessuto che altrimenti apparirebbe sano.
Sono già stati sottoposti ad intervento con questa metodica una decina di pazienti. I pazienti non hanno presentato deficit neurologici e l'asportazione è stata completa come documentato dalle indagini radiologiche post-operatorie.
Questi risultati sono stati ottenuti grazie anche al lavoro di équipe multidisciplinari composte da medici, fisici, infermieri e tecnici di radiologia sanitaria della neurochirurgia di Careggi e della Medicina Nucleare del Santo Stefano di Prato ed alla collaborazione del dottor Giovanni Muscas, neurochirurgo e del dottor Iashar Laghai, medico Nucleare che hanno permesso il raggiungimento di questo obiettivo.