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I nostri approfondimenti

La medicina com’era, un viaggio a ritroso nel settecentesco “teatro anatomico” dell’ospedale del Ceppo di Pistoia

Scritto da Ufficio Stampa, lunedì 23 luglio 2018

Pistoia - Entrando oggi nell’ex-corsia di San Leopoldo, nell’ospedale del ceppo, si trova accesso ai locali dell’Accademia Medica Pistoiese; istituzione culturale nata nell'anno 1928 (con statuto ufficialmente sancito da Re Vittorio Emanuele III) presso l'ospedale di Pistoia in seguito alla creazione della nuova provincia e per iniziativa di alcuni Medici pistoiesi (Alberto Chiappelli, Ireneo Bonacchi, Vittorio Bacci, Silvo Magni, Faustino Vannucci), ma in antico quegli stessi locali ospitarono un lazzaretto, dal quale camminamento è facilmente intuibile che i medici ne usufruissero per visitare a “distanza” gli ammalati contagiosi. E’ quindi su base di un ipotetico dato di altissima mortalità dell’epoca che si basa la convinzione che, fin dal ‘500, si siano tenute le prime lezioni di anatomia patologica e chirurgia.
La Scuola medico-chirurgica di Pistoia fu successivamente fondata nel 1666, e per molti anni fu l’unica presente nel granducato. Una notevole prosperità della stessa fu apprezzabile a partire dal ‘700, quando per la forte attenzione di Pietro Leopoldo di Lorena, divenne, insieme alla specola di Firenze, oggetto di notevole interesse da parte della comunità scientifica.
La scuola, suddivisa in tre classi, durava sei anni ed era frequentata da un ristretto numero di studenti (probabilmente la retta risultava troppo cara per le comuni possibilità economiche dell’epoca), tra i quali anche il celebre anatomo-patologo pistoiese Filippo Pacini, che scoprì per primo nel 1854, il vibrione che venne poi da Koch descritto come il bacillo del colera. Le lezioni di anatomia si tenevano nel Teatro anatomico, rarissimo gioiello tardo settecentesco neoclassico, totalmente affrescato secondo il gusto dell’epoca con grottesche e medaglioni dai colori pastello: rosa, verde antico ed azzurrino; un contrasto forte, tra la lugubre funzione assolta del luogo stesso, e la sofisticata quanto elegante aria da “salotto” che, contrariamente all’immaginabile, suscita un fascino altamente magnetico, seppur velato da imprescindibile cinismo. Non è tuttavia difficile immaginarne l’atmosfera nell’esercizio delle proprie funzioni obitoriali: I grandi armadi, inglobati nelle pareti, dovevano di certo contenere libri, strumenti di dissezione e con buona probabilità vasi con reperti anatomici; gli studenti, diligentemente seduti sulle panche in muratura, è presumibile che ascoltassero in religioso silenzio il professore che impartiva le istruzioni ai propri collaboratori; i “cerusici”, su quali parti anatomiche sezionare. La particolare forma architettonica a “nicchia”, permettendo quasi certamente un’ottima acustica, doveva fare il resto di quel necessario ed egregio rigore, che s’imponeva al luogo.
L’istituto fu attivo fino al 1844, anno nel quale fu chiuso per il basso numero di frequenze. L‘Accademia medica, intitolata a Pacini, ne ha raccolto l‘eredità.
Visitando questo luogo, pur non dimenticandosi quale “ferale” circostanza rappresenti, anche in virtù del considerevole numero di antichi ferri chirurgici esposti, si ha quasi la strana sensazione di sostare in una sala da musica settecentesca, dove potersi rilassare. Emozioni controverse, quindi, quelle suscitate da questo piccolo museo di anatomo-patologia che non può mancare di affascinare il visitatore, regalando una commistione di sensazioni che convivono ben oltre la loro opposta diametralità.